Ventesimo Roma Pride
Grande manifestazione per i diritti di LGBTQI
In 200mila colorano il centro storico di Roma con un combattivo corteo. Fischiato il neopodestà Marino
“Renzi le tue promesse non ci bastano”

Dal corrispondente della Cellula “Rivoluzione d'Ottobre” di Roma
“Siamo inarrestabili” dichiara il movimento LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali) nel documento politico del Gay Pride 2014 a Roma, una manifestazione giunta al suo ventesimo anno, con un bagaglio di elaborazioni, istanze e rivendicazioni, alle quali i LGBTQI chiedono di dare ascolto e risposte politiche, culturali, istituzionali e mediatiche adeguate.

Il documento politico
Il movimento esprime un significativo livello politico, maturato negli ultimi anni come risposta all'attacco ai diritti globali, non solo di LGBTQI, ma di tutti, dai lavoratori, ai pensionati, agli studenti, alle donne. Un livello politico ben espresso nella richiesta, avanzata dal documento politico, di interventi politici per garantire i diritti a quanti subiscono gli effetti più duri di emarginazione, discriminazione e violenza, “come le donne, i migranti, diversamente abili, lavoratori precari e sfruttati, Rom, non credenti, credenti di minoranze religiose, giovani e studenti”.
Contestualmente il movimento chiede parità di diritti, il matrimonio civile per le coppie formate da persone dello stesso sesso, su un piano di piena uguaglianza formale e sostanziale rispetto alle coppie eterosessuali, l’accesso alle adozioni e la tutela dell’omogenitorialità, il riconoscimento dei poliamori e delle relazioni aperte, la laicità dello Stato; legittime tutele e politiche di intervento contro l’omo-lesbo-transfobia e a favore delle persone trans e intersessuali che subiscono discriminazioni e abusi; interventi legislativi per il contrasto di ogni forma di pregiudizio legato all’orientamento sessuale e all’identità di genere e, soprattutto, la rimozione di tutte le discriminazioni legislative; seri programmi di educazione e informazione sessuale e di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili; investimenti e interventi di contrasto dell'emarginazione sociale che colpisce le persone in HIV.
Su queste precise rivendicazioni il movimento avverte Renzi: “Le tue promesse non ci bastano. Adesso fuori i diritti” è la parola d'ordine conclusiva dello spot di presentazione del Gay Pride 2014 e la stessa dello striscione di apertura della manifestazione. Il parolaio Renzi viene inchiodato alla dichiarazioni da lui stesso fatte durante le primarie del PD: “Di questi temi – affermava pochi mesi fa - si parla sempre in campagna elettorale, poi il giorno dopo silenzio totale. Io invece mi prendo un impegno chiaro. Se noi vinciamo in cento giorni facciamo le civil partnership (unioni civili)”.
Sono passati ormai più 100 giorni dalla imposizione alle masse popolari di questo governo e Renzi continua a tacere sui diritti dei LGBTQI. Figuriamoci se ha rispettato anche uno degli impegni presi con il movimento che pure erano parte della campagna elettorale delle primarie del PD: unioni civili, step child adoption (l'adozione del bambino che vive in una coppia dello stesso sesso, ma che è figlio biologico di uno solo dei due), legge contro omo-transfobia e ius soli (diritto di cittadinanza per chiunque nasca sul territorio italiano). Come affermato nel medesimo documento politico di indizione del Gay Pride 2014 Matteo Renzi, “ha finora deluso le aspettative di una svolta e gli impegni presi, peraltro insufficienti, sono rimasti lettera morta. Infatti, oltre a non avere assegnato un dicastero alle Pari Opportunità, persino le politiche messe in campo nell’ambito della Strategia nazionale contro le discriminazioni basate su omofobia e transfobia hanno subito una brusca battuta d’arresto e sono state messe in forse da esponenti di Governo”.
La preoccupazione del movimento è pressante, poiché, si rileva giustamente, il concreto rischio che l'inattività del governo acuisca le differenze socio-economiche che andranno a colpire con maggiore violenza proprio coloro che godono già di minori tutele, diritti e riconoscimenti, col rischio che la crisi economica e occupazionale finisca per penalizzare maggiormente quelle componenti sociali che si trovano già a subire pressioni e difficoltà, “pensiamo in particolare alle persone trans, intersessuali e queer, che a causa della loro visibilità e di tutte le difficoltà legate alla incongruenza tra i documenti d’identità e l’aspetto esteriore, troppo spesso sono messe ai margini della vita sociale e lavorativa”.

La manifestazione
Su questa base comune di lotta in 200mila sono scesi in una grande manifestazione di piazza a Roma. E' stata la combattiva conclusione della lunga rassegna del Roma Pride, fatta di iniziative e di eventi, giunta quest'anno alla ventesima edizione. Quella romana è stata la prima delle tredici manifestazioni che si terranno in Italia al posto della manifestazione nazionale, in grandi città: Alghero, Bologna, Catania, Lecce, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Torino e Venezia, il 28 giugno, giornata che celebra il ricordo dei moti di Stonewall (1969, quando a New York vi furono violenti scontri tra omosessuali e polizia) e scelta come data della "giornata mondiale dell'orgoglio LGBTQI" o "Gay pride". A chiudere Siracusa il 5 luglio e Reggio Calabria il 19 luglio. Quest'anno la Sicilia stabilirà il record di tre parate nella stessa regione a mostrare l'apertura e la solida storia di accoglienza delle masse popolari siciliane, contrariamente alle caricature che ne suole fare l'ideologia dominante borghese.
I 200mila hanno colorato e vivacizzato il centro della Capitale, partiti da Piazza della Repubblica intorno alle 17, per raggiungere il Colosseo con una lunga sfilata di 15 carri coloratissimi.
Presenti alla manifestazione anche l'Unione degli Universitari e la Rete degli studenti medi in piazza per sconfiggere il bullismo omofobo dilagante nelle scuole.
All'apertura del corteo ha preso parte anche Ignazio Marino (PD) in qualità di sindaco di Roma, con tanto di fascia tricolore. Portandosi dietro uno sciame di fotografi si è messo al centro dello striscione principale con lo slogan della parata. La seconda volta, dopo 20 anni, che un sindaco di Roma prende parte al Pride.
La messinscena pubblicitaria non ha comunque risparmiato Marino dalla contestazione mossa di una parte del corteo che ha rimarcato come da 7 mesi manchi ancora la delibera sulle unioni civili promessa al consiglio comunale, che riconosca a livello anagrafico i matrimoni già stipulati all'estero.
Quindi un Pride anche quest'anno largamente di attualità e politicamente vivo, che dopo venti lunghe edizioni ancora spinge sulla rivendicazione degli stessi diritti civili delle unioni gay in Italia.
Dall'altra parte del Tevere, da Piazza Mazzini a Castel Sant'Angelo va invece riportato il flop mediatico e politico del “contro-corteo” organizzato dai fascisti di Forza Nuova, la cosiddetta “Marcia per la famiglia”, partecipata da appena un centinaio di persone. Da registrare il fermo da parte della Digos di un gruppo di fascisti che era pronto a un lancio di volantini omofobi su via Cavour al passaggio del Pride, provocazione comunque sventata.

La posizione del PMLI
Il PMLI da sempre attento sostenitore militante delle battaglie per i diritti civili di tutti sostiene la richiesta di LGBTQI di avere risposte politiche, culturali, istituzionali adeguate e maggiori spazi mediatici che trattino con laicità, onestà intellettuale, con obbiettivi di inclusione le questioni poste dal movimento. Per quanto riguarda le iniziative del PMLI, precisiamo che il nostro Partito non fa parte delle istituzioni rappresentative borghesi, e quindi può solo sostenere e pubblicizzare, attraverso il proprio Organo, "Il Bolscevico", il movimento.
E' comune la lotta per affossare tutte le norme giuridiche e amministrative del regime neofascista che discriminano i rapporti consensuali omosessuali, negandone parità di trattamento in relazione alla sicurezza sociale, all'assicurazione delle malattie, alle prestazioni sociali, al sistema educativo, al diritto professionale, matrimoniale e di successione, al diritto di adozione, alla legislazione sui contratti d'affitto e per rivendicare il riconoscimento, da parte delle istituzioni dello Stato e amministrative, delle unioni civili e di fatto, comprese quelle tra omosessuali di ambo i sessi. Alle coppie di fatto vanno garantiti gli stessi diritti ascrivibili alle coppie "legali". Tutti i nuclei familiari, comunque costituiti, devono essere considerati alla pari, con gli stessi diritti e gli stessi trattamenti sociali, economici e fiscali. Il PMLI chiede che lo Stato favorisca il cambiamento di sesso, nelle strutture pubbliche e gratuitamente, e il cambio di identità anagrafica. Alle coppie lesbiche, gay, bisessuali e transessuali va garantito pure il diritto di avvalersi gratuitamente in strutture sanitarie pubbliche delle tecniche per la fecondazione assistita e di accedere senza discriminazioni all'istituto delle adozioni e tutti gli altri diritti in materia sociale, assistenziale, lavorativa, previdenziale e ereditaria. Per questo motivo, occorre cancellare dai codici penale e civile ogni norma repressiva e discriminatoria basata espressamente sull'orientamento sessuale.
Occorre tenere presente che nonostante la riforma del 1975, il diritto di famiglia in Italia è ancora un diritto borghese, retrivo e antifemminile, risente fortemente della sua origine nel diritto canonico e della struttura fascista, sostanzialmente immutata, risalente al codice Rocco.
Il principio fondante è comunque quello contenuto nella Costituzione del '48, nel suo articolo 29, che sancisce che "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Sulla base di questo articolo lo Stato riconosce unicamente la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio, esclusivamente eterosessuale e preferibilmente indissolubile e prolifico. Esso esclude a priori e giuridicamente i diritti di tutti gli altri tipi di famiglia, da quelle di fatto a quelle gay, allargate, ecc. Con ciò vuole perpetuare un modello di famiglia fondata sulla proprietà privata, l'ereditarietà, la gerarchizzazione interna, la subordinazione della donna e dei figli al marito e al padre.
Occorre quindi lottare per cancellare l'articolo 29 della Costituzione e rimuovere tutte le norme che di fatto lasciano inalterato il potere maritale, la potestà sui figli, le disuguaglianze fra figli legittimi e naturali, la discriminazione e la mancanza di diritti per le coppie di fatto, etero e omosessuali, il divieto di matrimonio, di adozione e di ricorrere alle tecniche di fecondazione artificiale per le coppie gay.
Intanto sosteniamo le prossime manifestazioni del 28 giugno, del 5 luglio, del 19 luglio e auguriamo in maniera militante il loro pieno successo e il raggiungimento degli obbiettivi di parità all'inarrestabile movimento LGBTQI.

11 giugno 2014